A gennaio ho frequentato il corso per la fase 9 del ricamo giapponese, l’ultima con la mia maestra Stefania Iacomi. La fase 10, l’ultima del percorso di apprendimento (ma poi si continua con le specializzazioni!), sarà con i maestri giapponesi… Non l’avrei mai detto, quando ho iniziato nel 2013, che sarei arrivata fin qui in un tempo tutto sommato neanche così lungo: avevo iniziato con un corso all’anno, era la mia “coccola” personale, ma, come si dice, l’appetito vien mangiando, e l’obiettivo di essere pronta, per il 2020, a frequentare un corso di specializzazione in Giappone, mi ha fatto raddoppiare il numero di corsi ed accelerare i tempi.
La fase 9 è una specie di “riassunto delle puntate precedenti”: c’è dentro tutto quello che abbiamo imparato finora, ma più in piccolo, più dettagliato, più minuzioso. D’altro canto, è il pezzo che, una volta completato, dovrà dimostrare ai maestri giapponesi che si è pronte per la fase 10, quella che, una volta completata, dà l’abilitazione all’insegnamento.
Normale, quindi, che sia piuttosto impegnativa. Un po’ scoraggiante, all’inizio, vedere tutta la mole di lavoro da compiere, e rendersi conto, man mano che si va avanti, che le ore che verranno spese chine sul telaio saranno tante (ma tante!).
Così, sto affrontando questo pezzo con metodo e cercando di non farmi prendere dall’ansia. Mi è tornato in mente quando, da bambina e ragazzina, trascorrevo le vacanze in montagna. Quasi ogni giorno andavo nella frazione vicina, dove c’erano il giornalaio, il parco giochi, e in generale, un po’ più di movimento. A scendere era un attimo, ma i dolori venivano al momento di tornare a casa: quella che all’andata era una discesa da percorrere velocemente, al ritorno si tramutava in una salita che sembrava – ai miei occhi di bambina – lunghissima. Ora con google maps ho scoperto che si trattava di circa 600 metri, ma, nei miei ricordi – e nelle mie gambette di bambina di pianura – sembrava non finire mai. Così, non guardavo avanti, ma concentravo lo sguardo sui miei piedi, e cercavo di mantenere una andatura regolare. Quando poi era il momento di fare una sosta per riprendere fiato, alzando gli occhi mi stupivo di quanta strada avessi già percorso, e potevo affrontare l’ultimo pezzo con maggiore entusiasmo.
In un certo senso, sto utilizzando lo stesso sistema: proteggendo il lavoro con la carta velina, mi concentro solo sul piccolo pezzo scoperto, e procedo – un elemento per volta – con calma e precisione, cercando di fare tesoro di tutti gli insegnamenti di questi anni e di metterli a frutto in ogni piccolo punto del ricamo. Il lavoro è ancora lungo, ma, per il momento, mi godo lo sbarluccichìo dell’oro, nelle foglioline e nei fiori che ho ricamato oggi.
Basta poco, in fondo, per essere felici.